INTERVISTA CON STEVE WYNN

Il grande Steve a 1 mese di distanza dall’evento del 10 novembre al teatro Miela ha concesso a noi di Trieste is Rock un’intervista..

 

 

Hai già suonato a Trieste nel 92 e nel 98: che ricordi hai dei due concerti?

 Ricordo molto bene i concerti di Trieste e ho uno splendido ricordo sia dei concerti che degli amici che ho conosciuto, come Alce. Inoltre Trieste è una bellissima città e non vedo l’ora di ritornare.

 Tu suoni spesso in Europa: qual è la differenza maggiore che hai riscontrato tra i due tipi di pubblico?

 Cerco di non generalizzare: ci sono pubblici diversi e serate diverse; bisogna valutare caso per caso. Detto questo, forse in Europa, ed in modo particolare in Italia, sono seguito con maggiore attenzione; non c’è gente che parla al cellulare o chiacchiera al bar.

 Il tuo penultimo lavoro, “Crossing Dragon Bridge”, è stato composto a Lubiana. Parlaci di come è nato questo splendido disco.

 Ho registrato il disco lì perchè Chris Eckman ci abita da anni ma anche perchè mi piace cambiare la località in cui faccio i dischi. Ho registrato a Los Angeles, a Tucson, a New York spostandomi da un posto all’altro: questo mi dà l’impressione di ottenere una maggiore incertezza, di trovarmi davanti ad un terreno più instabile e questa è una cosa che incrementa la creatività.

 Durante questo nuovo tour suonerete anche pezzi vecchi e dei Dream Syndicate?

 Suoneremo un po’ di tutto, ripercorrendo la mia storia musicale: ci saranno pezzi miei e dei Dream Syndicate. Naturalmente suoneremo parecchio materiale dall’ultimo “Northern aggression”, che dovrebbe uscire in contemporanea.

 La riedizione del capolavoro “Medicine Show” ha spinto i giovani appassionati a scoprire nuovamente questo disco.

 Certo, questo è un bel modo per far sì che si riscoprano vecchi brani.

Qual è il tuo rapporto con i vecchi compagni di avventura? C’è la possibilità di una reunion dei Dream Syndicate?

 Non ci vediamo spesso, forse una volta l’anno; con alcuni di più, con alcuni meno. Viviamo in città diverse e ognuno ha i suoi problemi ed i suoi progetti. Certo, è possibile che accada, non si sa mai. Ma sono perplesso sull’idea delle reunion: ho come l’impressione che spesso alla base ci siano principalmente motivazioni finanziarie. Se dovessimo trovarci di nuovo sarebbe anche per registrare del materiale nuovo.

 Tu hai detto che se non si scende a compromessi, alla lunga la qualità paga: ma qual è la situazione discografica oggi in US?

 Una volta avevi le majors e le etichette indipendenti: oggi la situazione è completamente diversa, più fluida ma anche molto più complessa. Io ho la fortuna di lavorare con una casa discografica indipendente che ha la base in Germania e che mi lascia molta libertà.

 Quando si parla delle tue influenze all’inizio si parla poco del country & western, che in qualche misura è comunque presente nei tuoi pezzi.

 Beh, ci sono delle influenze di questo tipo, perché ascolto un po’ di tutto, ma direi che quello che viene fuori di più dai miei dischi è il soul, il blues, il rhythm ‘n’ blues.

 In “Kerosene man” c’è un pezzo, “Conspiracy oh the heart”, con un bellissimo intervento vocale di Johnette Napolitano: ce ne puoi parlare?

 Quando abbiamo registrato Johnette era in tour in Australia e le abbiamo mandato il nastro per sovraincidere il suo intervento. Le cose erano più complicate: per fare un disco insieme a qualcuno, dovevo spostami in un’altra città, piazzarmi in albergo, stare lì per un po’. Oggi non fai altro che comprimere il pezzo in mp3 e spedirlo in pochi minuti.

 Nel progetto parallelo dei “Baseball Project con Peter Buck e Scott McCaughey (R.E.M.), state componendo a distanza, tu e Linda a New York e Pete e Scott a Portland e Seattle.

 E’ vero, abbiamo lavorato a distanza, usando molto la posta elettronica, però poi abbiamo registrato tutti insieme a Seattle.

 “Tears Won’t Help” è una canzone davvero stupenda da “Conspiracy of the heart” e saremmo molto contenti di sentirla durante il concerto.

 Non la suono dal vivo da, mah, credo un paio d’anni. All’inizio del tour decidiamo cosa suonare cercando di variare e di ottenere una certa, diciamo, varietà tra il materiale più vecchio e quello nuovo.

 Intervista realizzata da Ruggero Prazio e Franco Stogaus

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