Abbiamo intervistato l’unico italiano presente nel main set del Light of Day Benefit che si terrà a Muggia il giorno 6 dicembre: GRAZIANO ROMANI.
L’ultimo disco che avevi fatto era, se non sbaglio, quello dedicato a Tex Willer . . .
Sì, l’ultimo in ordine di tempo è quello dedicato a Tex Willer . . .
ecco. Che è uscito un anno e mezzo fa circa e che sta andando molto bene . . .
Esattamente. Sta andando molto, molto bene: diciamo che sta vendendo diecimila copie. Di questi tempi è una cosa stupenda, in tempi veramente così di crisi delle vendite discografiche.
Funziona, perchè è un disco proprio per gli appassionati del personaggio che, insomma, è uno dei più celebri eroi d’avventura del fumetto, anche mondiale, non solo italiano, perchè è anche famoso in tanti altri paesi stranieri. Quindi, insomma, è un bel risultato, è una bella soddisfazione anche per me che sono un “texiano” fin da piccolino, insomma, fin da bambino.
Bene. E adesso che cos’hai in cantiere?
Mah, guarda, in cantiere . . . adesso sono in giro con una band di musicisti, quelli che hanno registrato praticamente il disco insieme a me; quindi faccio i concerti per “My name is Tex”: lo chiamiamo il tour “My name is Tex”. Faccio anche da solista delle presentazioni del disco, unite anche a delle conferenze; delle presentazioni dei miei libri, perchè ora sono diventato da qualche anno anche un saggista – del fumetto principalmente – quindi alla fine unisco le due cose molto bene e a volte le intercalo con delle esibizioni dal vivo in acustico nelle convention del fumetto o in luoghi deputati per presentare queste cose. E se no nei club o nei teatri faccio i concerti con la mia band, a volte che tendono a ritornare molto rock e molto rumorosi, non solo folk come il sound del disco di Tex, ecco.
Certo. E quindi ci potresti forse dare anche un’anteprima di quello che suonerai a Muggia al Light of Day.
Mah, guarda, al Light of Day, essendo, così, uno show vario con tanti artisti e ognuno di suo importante e talentuoso, io credo che senz’altro ognuno vorrà dare almeno un paio . . . due, tre brani propri di rilievo.
In più senz’altro si vorrà forse citare la figura di Springsteen. Perchè alla fine Springsteen è un po’ il cardine del progetto Light of Day, nato da Bob Benjamin, per la lotta al morbo di Parkinson. Però è nato anche da un album-tributo e dai concerti-tributo alla musica di Springsteen, che alla fine è un pochino la guida non solo artistica ma anche spirituale, secondo me, di questo progetto. E tutti gli artisti amano Springsteen e lo hanno, negli anni, più o meno tributato, ecco. Quindi credo che sia una cosa che si riproporrà anche a Muggia, a Trieste, senz’altro. Io ho fatto nel disco, quello ufficiale che si chiama proprio “Light of Day”, che era un
doppio album uscito poi in tutto il mondo . . . io feci una versione del brano “The promise”, che è una bellissima ballata di Springsteen e molto rara anche, che lui ha registrato e fatto uscire solo in questi ultimi anni. Però è una canzone degli anni Settanta, fine anni Settanta. Quindi è rimasta una rarità per tanti decenni. Io l’ho registrata proprio per quel progetto, ormai una decina d’anni fa. E così . . . quindi mi piacerebbe riproporre quella, perchè, insomma, alla fine mi rappresenta nei riguardi di questo progetto, specialmente di quello discografico, che si chiamava “Light of Day”, ecco.
Guarda, io qualche ora fa ero in teatro per dare un’occhiata ed è veramente un teatro molto simpatico. Piccolo ma molto ben tenuto e so che tu ami molto lavorare sul palcoscenico, suonare dal vivo, ma so che ti piace anche suonare nei posti più piccoli.
Sì, sì, assolutamente. Sai, il posto piccolo ti dà una maggiore . . . e poi è facile da capire, ti dà una maggiore intimità, cioè ti tiene veramente vicinissimo al pubblico e sei proprio scoperto, sei nudo, tra virgolette. Ma è molto più emozionante, sei vicinissimo al pubblico e l’emozione è assolutamente esaltata proprio. E poi il fatto di essere in acustico rende ancora tutto più vivo, più vero. Non ti nascondi dietro i tamburi, o i suoni elettrificati, ma hai tutto molto fresco, molto diretto, ecco. Io – ti dico – da parte mia oltre al pezzo di Springsteen, “The promise”, mi piacerebbe, così, proporre almeno un paio di brani miei, o due o tre brani miei, che possano coprire un pochettino tutta la mia carriera, cioè magari un brano in italiano e un paio in inglese, che possano un pochettino far capire anche a chi non mi ha mai sentito dal vivo, non ha seguito magari con attenzione i vari passi delle cose che ho fatto, almeno possa avere un’idea, insomma, di chi sono e quello che sono, insomma. Però credo che la cosa più importante sarà il ritrovarsi tutti insieme quella sera ed essere tutti lì a fare musica insieme. Io immagino che anche il pubblico ci darà una grossa mano a cantare i brani, a stare con noi, a partecipare. Io ricordo ho già partecipato come ospite al “Light of Day” qualche anno fa a Roma. E proprio insieme a Willie Nile, a Joe D’Urso; c’era una band del New Jersey, si chiamavano Marah, una band giovane di rock alternativo e alla fine mi sono molto molto divertito. Anche lì era un locale storico di Roma, si chiamava Big Mama, però ricordo delle grandi vibrazioni . . . così . . . molte emozioni, molto divertimento. Alla fine era bello anche fare delle cose tutti assieme. Magari ci sono – e poi lo sai – ci sono dei brani che si prestano assolutamente a essere cantati e eseguiti tutti insieme e magari insieme al pubblico, quindi spero proprio che sia una cosa intensa e partecipata da tutti.
Io non ho dubbi, perchè oltre a questi che hai citato, ci sarà anche James Maddock,che l’altr’anno ci aveva colpito molto. Ci sarà Jesse Malin, che è un grossissimo personaggio, e poi questa dimensione sul palco, che è molto particolare, dà anche la possibilità di non consumare troppo velocemente la musica, di dare un pochino di tempo.
Bravo. Bravo! Sì, è questa la faccenda: il fatto che in acustico ti puoi aspettare davvero di tutto. Nel senso che c’è la possibilità di buttare proprio lì per lì delle versioni, di creare dei duetti, di interagire di più con il pubblico. Sembra assurdo, ma è proprio così. A volte, invece, con il suono elettrico di una band è tutto un pochettino più – come posso dire – più statico. Anche se ovviamente poi dipende dal genere e dal suono. Però di solito è così; invece in acustico è assolutamente tutto inaspettato e spero che sia, insomma, una bella cosa anche la serata a Muggia. Spero proprio.
Ripeto: ne parleremo dopo, ma vedrai che non ti deluderemo. Ascolta, tornando in Italia, tu sei di Reggio Emilia e mi veniva in mente questa cosa di tanta musica che è venuta fuori in questa striscia di terra che sta fra “la via Emilia e il West”. Partendo, appunto, dalle tue parti e arrivando a Semprini, Lorenzo Semprini di Miami Groovers, che è uno che è venuto a Trieste un sacco di volte: com’è che vengono fuori tante . . . e naturalmente per i motori poi è lo stessa cosa . . .
(ride) Mah, vedi, parlando di Lorenzo, che è un amico, lui è più Romagna, ecco. Io l’Emilia e la Romagna le distinguo un pochettino. Romagna in questo caso è anche motori, perchè la citazione che facevi . . . spesso i piloti di moto, di macchine, ma di moto specialmente, vengono tutti dalla Romagna e c’è questa specie di . . . però c’è un filo che lega l’Emilia Romagna a un certo rock, a una certa filosofia rock americana e ed è vero, hai ragione: spesso è nato tutto qui, insomma. A partire dal primo beat, quindi dalla prima Equipe 84, fino ai Nomadi gloriosi di Augusto Daolio. Poi Guccini con quella frase “dalla via Emilia al West” alla fine ha, come posso dire, ha definito un qualcosa che poi anche nel corso degli anni Ottanta, Novanta si è assolutamente confermato. Insomma alla fine Zucchero è di qui, di Reggio Emilia. Lo stesso Ligabue; ma tantissimi, capito . . . alla fine lo capisci bene, questa scena ha dato veramente tantissimo. Sconfinando a volte anche con la musica leggera italiana che, se chiaramente fatta bene, in maniera sincera, è valida tanto quanto il rock un pochettino più caratterizzato, ecco, per rendere l’idea. Io ricordo che iniziai come artista e come compositore . . . così . . . formando la band Rocking Chair e per un decennio negli anni Ottanta abbiamo lasciato un certo segno. Eravamo molto influenzati dal rock e dal soul americano e chiaramente in primis influenzati da Springsteen e la E-street band. Quindi – come posso dire – io non ho mai lasciato e non ho mai voltato le spalle o lasciato indietro questa cosa, ma ho sempre fatto tesoro di questi dieci anni di . . . così . . . di accademia, mettiamole tra virgolette queste parole. Ez poi ho cercato invece una via solistica, però senza mai dimenticare questi inizi, insomma, ma anche queste influenze che sono tuttora valide.
Ecco, ma proprio parlando di influenze americane: è chiaro che questa è la musica che più ci avvicina. E però ho trovato nella tua storia anche un certo interesse per dei gruppi progressive come Jethro Tull, come Genesis, che sembra un po’ strano, no?
Mah, vedi, io sono proprio il ragazzino che nei primi anni Settanta – ma proprio un monello, proprio il ragazzino piccolo – che nei primi anni Settanta comprava i primi dischi. E in quel momento potevi ascoltare o il pop-rock inglese tipo Cat Stevens o Elton John, ma ti compravi anche . . . che ne so . . . “Thick as a brick” dei Jethro Tull o ti compravi “Foxtrot” dei Genesis, hai capito. E io avevo degli amici anche un po’ più grandi che mi passavano questi dischi e ho cominciato ad ascoltare questa musica veramente da piccolo. E questa musica mi ha formato: mi è piaciuto il sound inglese tanto quanto il sound americano. Io sono un
grande fan anche, non so, del lavoro di Peter Gabriel o di un certo prog inglese. Adesso sto seguendo comunque la scena anche . . . che a volte genera . . . a volte anche delle perle o delle cose comunque importanti, anche in questi ultimi tempi: c’è un grande ritorno al prog e una rivalutazione, dopo gli anni invece in cui era stato proprio messo quasi al bando e in qualche modo proprio bollato come un qualcosa di assolutamente sorpassato e non alla moda. Adesso invece, specialmente le band rock di rock alternativo, alcune sono anche molto famose, sbandierano invece il loro amore verso il progressive, il sound progressive inglese, vedi i Muse, vedi i Radiohead o varie altre band; lo dichiarano più apertamente. E questo lo si capisce anche ascoltandoli, poi alla fine. Io ho sempre amato anche questa musica, unitamente anche al folk. Però non nego che da oltreoceano il sound americano, sia quello più mainstream della East Coast, oppure anche il country-rock della West Coast, l’ho amato moltissimo: shakerando tutto e mettendo un pochettino anche, così, di sensibilità un pochettino più mediterranea, e ancora di più emiliano-romagnola (ride). Tornando al discorso di prima, è venuto fuori quello che sono io, insomma. Quella che è la mia proposta . . . così . . . sonora e anche, insomma, a livello di testi.
intervista realizzata martedì 13 novembre 2012 da Ruggero Prazio per Trieste is Rock