In attesa del Light of day di Muggia ecco l’intervista al principale fauotore di questo tour benefico!!
Intervista realizzata da Ruggero Prazio e Franco Stogaus
J D’U. Cerco di fare le cose in maniera onesta; onesta, vera e con molta passione: credo che il pubblico italiano riconosca e apprezzi queste qualità.
R. P. Di sicuro le sente. Tempo fa avevo chiesto a Steve Wynn, che ha suonato a Trieste il 10, un giudizio sul pubblico e lui diceva che il pubblico europeo è più attento, che c’è più rispetto per l’artista. Sei d’accordo?
J D’U. Si. Negli Stati Uniti è difficile. Poi non si pur dire “il pubblico americano”; gli Stati Uniti sono fatti di cinquanta stati differenti. Ma sono d’accordo con quello che ha detto. Certe volte avere un pubblico che ascolta le parole in una lingua differente dalla propria, fa sì che si concentri su quello che dici e sui testi, più che non uno che parla inglese.
R. P. Ora parliamo un po’ dell’evento “Light of Day”. Quella sera a Trieste, durante la cena, mi dicevi che mentre d’estate suoni per conto tuo, d’inverno suoni per beneficenza: deve essere stancante, ma allo stesso tempo ti dà grandi soddisfazioni. Ho trovato una tua descrizione, qualcosa tipo “stanco ma soddisfatto”.
J D’U. Si, ed è una cosa che mi viene da Harry Chapin, un cantautore americano a cui mi ispiro. Lui ha lavorato molto per beneficenza e mi ha influenzato, per cui nel resto dell’anno, da novembre a gennaio, suono per “Light of Day” o altri organismi e, come dico sempre, mi sembra che questo dia alla mia musica uno scopo . . . non c’è nulla di male nel divertirsi, ma questo forse aggiunge un di più e mi permette di lasciarmi coinvolgere. E’ una cosa che mi fa star bene ed è incredibile vedere quanto “Light of Day” sia cresciuto negli ultimi diec’anni: stiamo parlando di ventisette concerti in tredici nazioni.
R. P. Si tratta di una crescita anche a livello umano.
J D’U. Infatti. Fino a pochi anni fa era solo uno spettacolo nel New Jersey e negli ultimi quattro – cinque anni è cresciuto a dismisura.
R. P. Già. Una parte del ricavato finisce in Italia, all'”Associazione Italiana Parkinsoniani”.
J D’U. Si, il cinquanta per cento dell’incasso viene devoluto all'”Associazione Italiana Parkinsoniani” ed il rimanente cinquanta per cento, dopo le spese, al “Light of Day”. Ma a questo punto, tutti soldi vanno alla ricerca. Cioè . . . “Light of Day” non ha personale pagato, è solo una piccola organizzazione fatta di tanti soldatini, solo che in questo caso i soldatini sono musicisti. Non siamo come la Croce Rossa, con un quartier generale, in cui la gente viene pagata. “Light of Day” non è questo. Abbiamo un piccolo comitato direttivo, decidiamo cosa fare e in pratica si tratta solo di raccogliere soldi attraverso spettacoli di rock ‘n’ roll e concerti acustici. Detraiamo alcuni costi e regaliamo il resto alla ricerca sul Parkinson.
R. P. Ricordo che ne avevamo parlato e si discuteva sull’importanza di non fare le cose solo per i soldi. Ora, tu ti occupi dell’organizzazione e tu e Willie ospitate nuovi artisti ogni anno: come iniziano queste collaborazioni?
J D’U. Mah, io e Willie ci conosciamo dal ’92, quando gli avevo fatto da supporto, ma queste relazioni con tutti i vari artisti sono basate su conoscenze personali e di lavoro che Bob Benjamin aveva con gli artisti o con i loro manager o con le case discografiche e poi con gli amici degli amici, o amici del comitato direttivo. Ogni storia è differente. Che so . . . Bob era il manager di Joe Grushecky e Bruce Springsteen era un suo vecchio amico e Bob conosceva Bruce per averlo intervistato al college negli anni ’70 a Buffalo. Marah e Jesse Malin . . . ero in Gran Bretagna e avevo fatto registrare a Jesse una versione di “Hungry heart”; poi l’avevo portata a Bob e Jesse era diventato un amico; ogni storia è un po’ differente. Come con Escovedo: non lo conosco personalmente, ma di sicuro avrò modo di conoscerlo meglio viaggiando con lui per qualche settimana, però ci conosciamo per via di John Landau. Ci sono tutti questi collegamenti, come nella vita, davvero, è molto simile alla vita. Non c’è niente di programmato nella vita. Siamo solo piume nel vento.
R. P. Beh, ecco, Escovedo era in una delle mie prossime domande. Si dice che in passato anche lui sia stato aiutato con un evento simile.
J D’U. Sì, credo che abbiano organizzato uno spettacolo di beneficenza in Texas. Non ne so molto ma credo che una volta, quando era ammalato, degli amici lo abbiano aiutato e che lui, per così dire, si stia sdebitando.
R. P. Durante i tre concerti italiani ci saranno anche alcuni musicisti italiani, il tuo fratello italiano, Lorenzo Semprini, ma anche Priviero, Zerilli e a Como Parodi. Con loro hai sviluppato una buona amicizia. Secondo Franco sono bravi anche paragonati agli artisti americani.
J D’U. Ah, certo. No, no: io non faccio paragoni tra musicisti, basati sulla nazionalità o sul tipo di musica che suonano. Talvolta i musicisti non sanno che cosa significhi per me l’aspetto tecnico: io non mi considero un grande musicista sotto il profilo tecnico ma per me è importante l’aspetto emotivo e credo che Lorenzo e Zerilli diano delle grandi emozioni e non vedo l’ora di incontrare Massimo Priviero. Credo che ci siano molti artisti italiani che sono bravi e sono molto contento delle emozioni che portano nelle canzoni e nei concerti.
R. P. Continueremo a parlare degli artisti italiani, ma ospitate anche artisti locali nelle altre date. Per esempio, Mike Peters degli Alarm suonerà con voi in Gran Bretagna?
J D’U. Suonerà con noi in Galles: Mike Peters sarà con noi in Galles e poi ci sarà Sid Griffin, che vive in Gran Bretagna e suonerà a Bedford e a London. Abbiamo anche Richard Barone dall’America. Arriva per suonare con noi nelle tre date inglesi; poi ci sarà gente differente in paesi differenti. Ci sto ancora lavorando. In alcuni posti ci saremo solo io, Willie e Alejandro anche se a Zurigo verrà anche un artista svizzero. Alcuni ospiti suonano all’inizio e non dopo. Per il resto saremo io, Willie e Alejandro: dovunque andiamo cerchiamo di coinvolgere qualcuno dello stato in cui siamo. Credo sia importante perchè, come in ogni amicizia, ci dev’essere la reciprocità e ci stiamo dando da fare per incorporarli nello spettacolo.
R. P. Sarebbe bello avervi qui ancora e ancora e ospitarvi: noi cerchiamo di fare del nostro meglio, e certe volte ci riesce.
J D’U. State facendo un gran bel lavoro là. C’è della bella gente ed è sempre piacevole suonare per un pubblico che apprezza la musica: grazie Ruggero. Ringraziami Franco e ci vedremo presto.